De-sidera
intrecci tra mito e letteratura di Manuela Carrano
Sette immagini per altrettante pagine di garza di cotone, come i sette pianeti corrispondenti ai giorni della settimana, intrecciano un libro di viaggi astrali senza luoghi, dalla copertina nera di simboli “illuminanti” sul tempo esteso dell’arte, icone e varianti sulle paradossali ambivalenze tra mito e letteratura, naturalismo e astrazione, astrologia e scienza, storia e memoria, eseguite con filo cucito da
Manuela Carrano.
E’ un libro vergato a mano nell’ambito della mostra De-sidera, in cui l’albero, il pianeta dorato errante che non segue il corso delle stelle fisse intorno al polo celeste, la gabbia, lo stambecco dei Pirenei estinto, la foglia di vite puntinata da bruciature, il pesce dorato volante e la mappa di città antiche del Mediterraneo costruite sull’acqua, evocano tracce di metamorfosi della natura, processi del cambiamento del Pianeta, alterazioni spazio-temporali e del rapporto tra uomo e natura. La sua poliedrica ricerca artistica investiga una tematica ambientalista ontologica complessa, da oltre dieci anni attraverso diverse tecniche, linguaggi, materiali, configurazioni visive dal contenuto poetico secondo un meccanismo generativo. Questo libro ripropone una lettura personale di simboli iconici universali, in primis l’albero, una quercia immaginifica simbolo dell’immortalità e durevolezza, del ciclo della vita e della morte, rinascita, conoscenza e armonia. Si aggregano ad esso forme e creature siderali, in bilico tra naturalismo e astrazione
emerse dal nulla cosmico, sospese in un tempo e spazio dove fine e inizio coincidono. Carrano s’interroga sul futuro usando strumenti del passato, dal cucito al filo, tesse rimandi con la storia dell’arte italiana, lavora sull’iconografia bizantina a fondo oro, su bestiari medioevali, rielabora il mito classico, cuce con filo oro, rosso o nero sagome cariche di valori simbolici, per la prima volta interviene con bruciature, crea vuoti, va oltre il limite della figurazione e lavora sulla memoria per “rammendare” la distanza tra passato e presente. Disegnare, bruciare, cucire, tessere e intrecciare per l’autrice coincidono in una paradossale tensione tra apparizione e sottrazione del segno, per fare emergere dal crepuscolo dell’inconscio racconti mai scritti, visioni epifaniche di un mondo nascosto.
Ogni pagina configura una dimensione siderale, sospesa, divina, citata da foglie d’oro, materiale luminoso e non soggetto all’ossidazione, collegato quasi in tutte le culture al Sole, che include una conoscenza esoterica, uno stadio più elevato
dell’ evoluzione spirituale, nella quale inserisce figure riconoscibili e praticate in molte culture antiche, dove l’inatteso, l’utopia e la speranza di rinascita sigillano la quinta essenza della perfezione. L’albero cosmico, dominante nella sua ricerca artistica, con i rami verso il cielo, simbolo del risveglio, della conoscenza, è in rapporto con il simbolismo della Resurrezione, perde le foglie e riposa in un eterno inverno prima di ricominciare a germogliare. Se l’albero è il punto di congiunzione tra la Terra e il Cielo, il pesce dorato volante fuori dall’acqua, fluttuante
in una dimensione empirea, è una creatura silenziosa, mistica, dall’alba dei tempi, rimanda a una complessa simbologia del profondo, dell’inconscio. Carrano rielaborando contenuti diversi che hanno a che fare con fecondità, energia, mito e leggenda, in cui micro e macro cosmo configurano astrologie fiabesche, visualizza una pre-scienza di narrazioni ancestrali dove nulla è come sembra, e anche le gabbie si aprono al sogno. Jacqueline Ceresoli
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Colmare l’assenza, i vuoti descrittivi, pittorici e narrativi, inventare un mondo altro, partendo da tracce antiche. Gli affreschi di Palazzo Schifanoia – nella loro complessità storica e simbolica –sono l’ordito sul quale l’artista colloca personaggi e indizi di un racconto umanistico, cosmologico e naturalistico derivante dall’impaginazione compositiva di Pellegrino Prisciani (1468/70) e poi da Francesco del Cossa. L’elemento della Sehnsucht (ossia della nostalgia) è presente in questo ciclo realizzato dalla Carrano, nella maniera in cui è assente. La siepe dell’Infinito di Leopardi, potrebbe, è vero, inclinare a quel moto dell’anima, ma non lo realizza fino in fondo, ergendosi invece come un varco aperto a innumerevoli fughe, liberando l’osservatore dalle costrizioni. Nei grandi teleri che realizza c’è invece una proiezione in avanti verso un universo sfaccettato, che pone interrogativi sul nostro nuovo posto nell’universo (soprattutto ora, dopo la scoperta del buco nero M87 che dista 55 miliardi di anni luce, fotografato con telescopi avanzatissimi) e su quell’ecologismo che – diventato lotta politica e morale come nel caso della piccola Greta Thunberg che allerta i grandi della Terra su quanto siamo prossimi al tracollo –è entrato sotto pelle in molti di noi con un grado di attenzione che si è fatto negli anni comune sentire. Chiare fresche dolci acque, secondo il Petrarca, e nell’aria nitida che disegna Manuela Carrano, entra l’oro purissimo, sotto forma di foglia, a sancire una nuova alleanza con il Creato, con l’Uomo, che speriamo meno tracotante.
Nel mondo di corte di Borso d’Este raffigurato a Schifanoia, s’intrecciano tematiche astrologiche, esoteriche, e la vita nel suo assunto mitologico, o nella sua quotidianità (come la raccolta del grano). Per Manuela Carrano questo lavoro sulla Sala dei Mesi significa aver raggiunto un compendio di tutto il lavoro sin qui svolto, riassumendo le sue riflessioni sulla Natura, sul destino dell’Uomo e del mondo animale, dove la costante presenza delle scimmie ha sempre avuto un ruolo speciale, di monito. Esse sono la certezza di una discendenza (la nostra, anche artistica, come ci ha rivelato l’etologo, sociobiologo nonché pittore Desmond Morris che, dal 1956 al 1958, mise sotto osservazione scientifica lo scimpanzè di nome Congo inducendolo a disegnare e a dipingere) e che deve fare i conti con l’intelligenza di queste bestiole, che ci osservano curiose e interrogative, forse pronte a prendere il sopravvento sulla nostra specie come nei migliori film di fantascienza.
Affermava lo psicoanalista Jacques Lacan: tutta l’arte è caratterizzata da un certo modo di organizzarsi intorno a un vuoto. Là dove i cinque affreschi sono scomparsi, corrosi dal tempo e dall’incuria e il muro risulta grezzo e sbiancato, Manuela Carrano interviene con il suo disegno associando all’abbandono delle figure un personale compianto per gli animali estinti del nostro pianeta (scegliendo rinoceronte bianco, stambecco dei Pirenei, tigre di Giava, leone berbero, pupfish della California, leopardo nebuloso, struzzo arabo). Più che dipingerli ha disegnato i contorni delle loro figure, stilizzandoli usando una piccola saldatrice, una fiammella purificatrice da tanta insipienza umana. E, infine, l’errore che trascina con sé un altro errore, che s’insinua involontario dentro il lavoro della Carrano, non per vanificarlo, ma per esaltare la totale immedesimazione dell’artista con l’affresco che contiene lo sbaglio. Il mese “incriminato” è quello di settembre (segno della Bilancia), governato da Venere, sotto la tutela di Vulcano. Il collegamento fra Vulcano e le Scimmie (nella fascia superiore dell’affresco di Schifanoia) fu chiarito da Warburg. Boccaccio, interpretando erroneamente un passo di Servio afferma che Vulcano, precipitato dal cielo sull’isola di Lemno, fu allevato “a simiis “ ( dalle scimmie) invece che a Sintike, città greca. Questo “errore” non finisce con Boccaccio ma continua anche con l’artista. Nel mese di settembre, al suo disegno delle scimmie fa da sfondo ancora una volta, erroneamente, il disegno di Agosto. Lo sbaglio feconda la materia creativa, l’artista entra in una spirale inconscia che assorbe la sua percezione dello spazio-tempo, annullandolo. Ed è ancora Lacan ad indicarci una possibile interpretazione: la verità è l’errore che sfugge all’inganno, e la si ottiene a partire da un malinteso.
Francesca Pini
Maggio 2019